“La Casa del Gusto è la seconda più grande opera pubblica realizzata in Costiera in questi ultimi dieci anni.

E’ seconda soltanto all’Auditorium di Ravello per l’importanza che acquisisce in termini di vetrina ma anche di laboratorio e di sperimentazione. Possiamo dire che è stato raggiunto un traguardo.

Costato 3 milioni e mezzo di euro, questo santuario del gusto dovrà custodire tutti i prodotti di nicchia e si appresta a diventare un grande attrattore di quel turismo avvezzo alle sollecitazioni della storia e del palato.

Insomma bisognerà far tappa a Tramonti per toccare con mano il prodotto tipico, la storia e la tradizione”

Luigi Mansi

(Presidente della Comunità Montana Monti Lattari)

I PRODOTTI TIPICI

“La Costa d’Amalfi è un territorio dalle risorse infinite. Un eccezionale giacimento di arte e cultura, carico di suggestioni ambientali e naturali, che trascorrono dal folclore al costume per riflettersi nella grande tradizione della sua cucina”

Ezio Falcone

(Storico della gastronomia italiana)

Non è assolutamente azzardato definire la Costiera Amalfitana un’esperienza sensoriale capace di abbracciare tutti e cinque i sensi. La vista in primis: è di sicuro la percezione più immediata e di forte impatto emotivo. Non si può rimanere indifferente ad un paesaggio che, non seguendo i canoni ufficiali di una corretta geografia, sembra l’espressione, straordinariamente bella, di un capriccio della natura: mare e montagna che si fondono in continue commistioni, collegati tra loro da una rete infinita quanto pittoresca di gradini e scalinate che si fanno strada tra la roccia e la sapiente geometria dei terrazzamenti; borghi e paesi aggrappati ai crinali creando arditi scenari verticali.

Si passa, poi, all’olfatto, un mix di odori che permea l’aria: quello acre della salsedine che si fonde con le fragranze aromatiche della macchia mediterranea; le note decisamente dolci delle zagare e quelle intense dei limoni, il bouquet generoso e gradevole che restituisce l’anima di un buon bicchiere di vino. Ecco, quindi, l’udito: il suono delle onde che si infrangono sugli scogli, la brezza marina che scuote le foglie degli alberi di limoni, il garrito dei gabbiani e il cinguettio dei passeri, il rumore dei passi lungo le stradine di montagna, il vociare quotidiano ed i canti popolari, custodi di tradizioni antiche e storie passate.

Anche il tatto ha un proprio spazio in questa esperienza sensoriale: con le mani, infatti, raccogliamo i ciottoli della spiaggia o un limone dall’albero, scoprendone la buccia porosa; spremiamo un acino di uva per scoprirne il grado di maturazione o stacchiamo dalle fenditure della roccia un rametto di ginestra. Infine il gusto che permette di riconoscere, apprezzare e godere dei colori, degli aromi, dei profumi e dei sapori dei prodotti tipici della Costa d’Amalfi, di quelle ricette fatte di antichi saperi e che custodiscono la storia e le tradizioni di un luogo, la sua cultura e il suo senso di appartenenza ad un territorio, fatto di mare e montagna al tempo stesso.

La costiera Amalfitana vive di questa duplice anima, contadina e marinara, fedele all’antica immagine che vede i suoi abitanti con un piede nella vigna e l’altro sulla barca. Un dualismo che si ritrova puntuale anche nella cucina dove, per consuetudine, il pesce non è quasi mai una pietanza autonoma ma abbinato ai prodotti dell’orto e si offre ad un ventaglio di soluzioni fra mare e campagna.

Il Limone Costa d’Amalfi IGP

Il più solare tra gli agrumi, lo sfusato amalfitano non è solo il testimonial più genuino della costiera ma appartiene alla sua storia ed al suo paesaggio, spesso ripreso nelle fotografie, nelle cartoline, nei canti popolari, nelle ceramiche tradizionali e nella cucina. La coltivazione del limone fu introdotta a partire dall'XI secolo dagli Arabi: è da questo periodo, infatti, che la gente del luogo comincia ad industriarsi per recuperare all'agricoltura luoghi scoscesi ed impervi come i crinali delle colline, realizzando i famosi terrazzamenti, in seguito chiamati "giardini" per la loro cura e bellezza, utilissimi per la salvaguardia del territorio dal dissesto idrogeologico.

Il limone, inoltre, era un validissimo rimedio contro lo scorbuto (malattia causata da una carenza di vitamina C) e, pertanto, sempre presente sulle navi amalfitane che intrattenevano traffici commerciali con l'Oriente e, in generale, in tutto il Mediterraneo. Per le sue indiscusse proprietà terapeutiche, dal 1400 al 1800 circa, altissima fu la richiesta da parte di altri Paesi, soprattutto nord-europei; lo storico Matteo Camera scrive a tal proposito che nel 1600 i limoni "da Minori venivano trasportati via mare verso altri mercati italiani, assieme a limoncelli e cetrangoli", termine, quest'ultimo, col quale venivano indicate le arance amare.

Lo sfusato amalfitano (così detto per la caratteristica forma affusolata) è un prodotto dalle caratteristiche molto pregiate e rinomate: la buccia è di medio spessore, di colore giallo chiaro, con un aroma ed un profumo intensi grazie alla ricchezza di oli essenziali e terpeni (carattere ritenuto di pregio per la produzione del liquore di limoni). La polpa è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi. E' inoltre un limone di dimensioni medio-grosse (almeno 100 grammi per frutto), nonché una tra le varietà più ricche di acido ascorbico (vitamina C). Largamente utilizzato in cucina sia al naturale che come condimento, lo sfusato amalfitano è l'ingrediente principe dei piatti della Costiera Amalfitana, sia a base di pesce che di carne, nonché nella preparazione di dolci, creme, infusi e liquori.

Il Vino Costa d’Amalfi DOC

La configurazione della Costiera Amalfitana ha una sua indiscussa scenografia. Lambisce il mare con un andamento da merletto antico e svetta verso il cielo con le cime dei monti. Dalla costa alla catena dei Lattari, la strada e i terrazzamenti si avvitano in una serie di tornanti scavati nei fianchi della montagna. La poca terra, faticosamente portata quassù a spalla, riempie le zolle strappate alla roccia.

E' questo, da secoli, l'insediamento dei vigneti che hanno conquistato la DOC, sotto la denominazione Costa d'Amalfi, con le tre sottozone di Furore, Ravello e Tramonti. Larghi in media non più di cinque metri, i terrazzamenti presentano un profilo irregolare imposto dall'anarchia della roccia. Ospitano in media quattro filari di viti disposti a pergola, grazie all'ordinata geometria fatta di pali di castagno. Un tempo, la vite veniva impiantata sulla macera (il muro verticale di contenimento realizzato senza malta sistemando le pietre l'una sull'altra), allo scopo di favorire il pieno utilizzo del terreno sottostante per le coltivazioni di stagione.

E qui va ricordato che il vignaiolo della Costiera è anche contadino e pescatore, perché in passato solo mettendo insieme il vino, i prodotti della terra e la pesca si riusciva a sbarcare il lunario. Il turismo ha sempre privilegiato la costa, per cui i paesi collinari, che pure arrivano al mare con strette lingue di terra, non ne hanno mai beneficiato. E' l'altra faccia della Costiera, che proprio nella tutela di questo lungo isolamento ha trovato oggi il suo originale carattere e la sua carta vincente. La zona DOC comprende in pratica l'intero territorio collinare della Costa d'Amalfi, da Vietri a Positano, anche se l'area più tradizionalmente vocata è quella delle tre sottozone: Furore, Ravello e Tramonti. Far vino, qui, sulle balze dei Lattari, e in quei piccoli squarci di terra strappati alla roccia, ha sempre significato raggiungere un sapiente dosaggio tra le uve allevate: una composizione che non aveva regole fisse, ma che di volta in volta venivano suggerite dai diversi esiti della vendemmia.

Così l'uva più generosa cedeva il passo a quella più avara, attenti in ogni caso a non perdere l'equilibrio tra gusto, persistenza, profumi, tannino e acidità. Un mix affidato alla sapienza del vignaiolo alla sua antica confidenza nel gestire questo processo di vinificazione, tutto nel segno dell'empiria, regolato solo dalle notti di luna e dalla fiducia nei propri sensi. Degli antichi vitigni, che hanno fatto la storia e la fortuna di questi vini, molti sono ancora produttivi (e per giunta su piede franco, perché la filossera non ha infestato la zona) e conservano nella denominazione l'impronta della loro origine e del loro destino: quello di uve domestiche, allevate a pergola in pochi metri quadri, per un uso quasi del tutto familiare. Nomi suggestivi, lontani da qualsiasi circolazione ufficiale, ma ben noti ai grandi viaggiatori, da Ibsen a Gregoriovus, che la mitezza del clima portava a svernare in queste terre, allora del tutto estranee al dilagante fenomeno della balneazione. Mi riferisco a vitigni come il Fenile, il Tronto di Furore, il Ripoli, il Pepella, la Ginestra fino al Tintore di Tramonti. Si tratta di uve strettamente legate al territorio, e in qualche caso esclusive dell'entroterra amalfitano.

(Testo tratto da "Costa d'Amalfi. Borghi Divini" di Nino D'Antonio - Ci.Vin 2005.)

La colatura di alici di cetara

La colatura è un liquido dal colore ambrato, ottenuto dal processo di maturazione delle alici sotto sale e rappresenta il più nobile dei discendenti del “garum” romano.

Le alici, pescate nel golfo di Salerno nel periodo tra marzo e luglio, vengono private della testa e delle viscere, abbondantemente salate e poste in un contenitore per circa 24 ore. Successivamente sono trasferite in un apposito contenitore in legno di rovere, detto terzigno (la terza parte di una botte), sistemate con la classica tecnica “testa-coda”, a strati alterni di sale ed alici; terminati gli strati, il terzigno viene chiuso con un disco di legno, detto tompagno, sul quale è collocato un grosso peso che, col passare dei giorni, viene sostituito con uno più leggero.

Per effetto della pressatura e della maturazione delle alici, comincia ad affiorare in superficie un liquido che viene progressivamente raccolto in bottiglie di vetro ed esposto al sole estivo, così da far evaporare l’acqua e aumentarne la concentrazione.

Tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre, terminato il processo di maturazione delle alici, il liquido raccolto viene nuovamente versato nel terzigno per meglio acquisire tutte le proprietà organolettiche; attraverso un foro praticato con un apposito attrezzo, dal terzigno “cola” un liquido ambrato, filtrato successivamente in “cappucci” di tela di lino. La Colatura di Alici di Cetara si afferma come condimento – prima di verdure e poi di spaghetti o linguine – quale piatto di magro della Vigilia di Natale.

I latticini dei Monti Lattari

L’allevamento bovino ed ovino fu introdotto nelle zone montuose della Costiera Amalfitana nel III secolo a.C. dalle popolazioni picentine; già Galeno, nel II secolo d.C., esaltava la bontà del latte e dei formaggi prodotti dai pastori che vivevano sui Lactaria Montes, denominazione utilizzata tutt’oggi e che fa riferimento, per l’appunto, al gran numero di mandrie che pascolavano liberamente in questi luoghi. Nel XVIII secolo, lo storico Parascandolo citava nel suo trattato l’abilità dei casari dei Monti Lattari nel produrre formaggi a pasta filata di altissima qualità.

I caseifici oggi impegnati nella lavorazione del latte sono prevalentemente a conduzione familiare, di dimensioni medio-piccole, con lavorazione a mano o parzialmente meccanizzata. Tra le specialità prodotte, menzioniamo il fiordilatte, la provola affumicata, la ricotta, il provolone, il cacio caprino ed il caciocavallo, sia a pasta morbida che dura. Estro e mani sapienti hanno, poi, inventato trecce e bocconcini con panna, caciotte con olive, rucola o buccia grattugiata di limone, mantenendo vivo il primato di questi prodotti, tra i più apprezzati sia in Italia che all’estero.

Il pomodorino del piennolo

Coltivato sui terrazzamenti dei versanti collinari della Costiera Amalfitana, il pomodorino del piennolo (o spunzillo) è uno dei prodotti più antichi e tipici dell’agricoltura campana, sovente ripreso anche nelle tradizionali riproduzioni dei presepi napoletani. Il nome fa riferimento all’abitudine di conservarlo appeso in abbondanti grappoli, detti scocche o ‘nzerte, penzolanti dalle volte bianche e dagli archi delle case della Costa d’Amalfi.

Oltre alla particolare forma pizzuta, il pomodorino del piennolo presenta un colore rosso vivo ed una polpa carnosa dal sapore dolce-acidulo, che lo rende ideale per insaporire le salse o essere mangiato crudo, su una fetta di pane, condito solo con un filo di olio extravergine ed una foglia di basilico.

La castagna di Scala e Tramonti

La zona montana tra i comuni di Scala e Ravello è da secoli un’area di elezione per la coltura del castagno da frutta. Il frutto, dal sapore dolce e delicato e dalle caratteristiche nutritive ed organolettiche di grande eccellenza, è largamente usato nella cucina della Costa d’Amalfi: dalla zuppa di castagne, figlia della tradizione contadina, alle crostate, castagnacci, cannoli, zeppole, calzoncelli fino alle classiche caldarroste.

La diffusione dei castagni nella zona dei Monti Lattari risale all’XI-XII secolo, ad opera dei monaci benedettini, come si legge in preziosi manoscritti dell’epoca.

Pensati per la raccolta dei frutti in autunno, i boschi di castagni sono sempre ben tenuti, puliti e sgombri di foglie e piantati su terreni facilmente accessibili. L’albero fiorisce tra giugno e luglio ed il suo fiore ha la forma di un lungo grappolo giallastro, dall’odore acre ed appiccicoso al tatto, ricchissimo di nettare e polline: un paradiso per le api, impegnate nella produzione del miele di castagno.

La pasta a mano

Per secoli l’economia della Costiera Amalfitana si è basata sulla produzione di pasta a mano, tanto da farne uno dei principali centri di produzione nel Regno delle Due Sicilie. A tal proposito, lo storico Matteo Camera scrive “maccheroni, oltre delle paste minutamente lavorate, che per la perfetta qualità sono le migliori del regno: si spediscono in Napoli, Sicilia, Calabria, Livorno, Genova, Marsiglia e talvolta fin a Rio de Janeiro”.

Tra i paesi della Costiera è Minori che vanta un’antica tradizione pastaia: qui, lungo il corso del torrente Reghinna Minor, sorgevano numerosi mulini che, insieme ai pastifici, costituivano il tessuto connettivo del piccolo borgo marinaro. E furono proprio i pastai di Minori che, nel corso del XVIII secolo, valicarono i Monti Lattari e si trasferirono a Gragnano, dove impiantarono la moderna industria della pasta.

Oltre ai tradizionali ricci e scialatielli, non possiamo non menzionare gli ‘ndunderi, una variante delle antiche “palline latine” di origine romana a base di farina caseata, ossia farina di farro e caglio. I pastai minoresi ebbero la felice intuizione di modificare la ricetta, mescolando farina e latte cagliato, o in alternativa la ricotta, ed aggiungendo uovo e formaggio di vacca grattugiato. Una specialità che ha il merito di aver esportato l’aroma ed il sapore della cucina amalfitana oltre i confini nazionali.

La pizza di Tramonti

Tramonti può essere definita “la patria dei pizzaioli” grazie alle oltre 3000 pizzerie gestite sia in Italia che all’estero da tramontani, divenuti così gli ambasciatori delle tradizioni culinarie locali nel mondo.

A Tramonti la pizza ha una storia antica, che risale al Medioevo, quando era abitudine preparare nei forni rurali una panella di farina di segale, germanella, miglio e orzo ed insaporita con spezie e lardo di maiale. Nei secoli successivi la pizza veniva solitamente condita con pomodorini del piennolo, olio extravergine di oliva, origano, aglio e acciughe salate.

A partire dal secondo dopoguerra, molti abitanti di Tramonti emigrarono nelle città del Nord Italia in cerca di fortuna, primo tra tutti Luigi Giordano, considerato il pioniere di questa nuova e gustosa avventura. A lui, infatti, va riconosciuto il merito di aver fatto conoscere, oltre i confini della Costiera Amalfitana, la tradizionale schiacciata tramontina, con l’aggiunta di fior di latte.

Con il riconoscimento della De.Co (denominazione comunale), il comune di Tramonti ha deciso non solo di preservare la memoria storica ma anche di fissare le caratteristiche della sua pizza che privilegia l’uso di pomodori scelti, olio extravergine DOP delle Colline Salernitane e fiordilatte dei Monti Lattari.

L’olio extravergine di oliva Colline Salernitane DOP

La Costiera Amalfitana, unitamente alla Valle del Calore, ai Picentini, agli Alburni, all'Alto e Medio Sele, alle colline del Tanagro e parte del Vallo di Diano rientra nell’area di produzione dell’olio extra vergine di oliva Colline Salernitane DOP.

Quest’olio ha radici antichissime, in quanto deriva da varietà autoctone da sempre presenti nel salernitano; trae la sua tipicità proprio dalla peculiarità del territorio, dotato di connotazioni pedoclimatiche, paesistiche, storiche, culturali ed economiche assolutamente originali. Esso si produce in un'area fortemente vocata alla coltivazione dell'olivo, caratterizzata da un patrimonio varietale particolarmente ricco e originale.

Notizie certe ne fanno risalire la coltivazione agli antichi Focesi, coloni della Magna Grecia, che cominciarono a diffonderla nella Piana dell'Alento e nelle aree collinari circostanti. Fu poi attraverso l’occupazione del territorio da parte dei Romani che l’olivicoltura si diffuse in tutta l’area salernitana.

L'olio extravergine di oliva DOP Colline Salernitane presenta, al consumo, un bel colore che va dal verde al giallo paglierino più o meno intenso; è limpido, a volte velato. All'olfatto mostra un deciso ed ampio sentore di fruttato di oliva pulita, con discrete note di foglia verde, di erba e di pomodoro acerbo. Al gusto rivela un sapore deciso e persistente, gradevolmente amaro e piccante, giustamente corposo, con buona ed equilibrata struttura e chiari sentori di carciofo, cardo e vegetali amari. Il retrogusto è pulito. L'acidità è sempre inferiore allo 0,70%.

La notevole presenza di note aromatiche fa prediligere l’uso di quest’olio su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, gustose pastasciutte della tradizione campana e grigliate di pesce.

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